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HOOK, CAPITAN UNCINO
(HOOK)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 19 aprile 1992
 
di Steven Spielberg, con Robin Williams, Dustin Hoffman, Julia Roberts, Bob Hoskins (Stati Uniti, 1992)
 
Uno più uno, non è che facciano immancabilmente due.

Uno: bizzarra, fantastica, poetica, la favola di Peter Pan è di quelle fatte per durare per sempre. Ed il mito che veicola - quello dell'eterna giovinezza, del rifiuto, magari della paura di diventare adulti - uno dei più antichi dell'umanità. Due: chi, meglio dell'autore di E.T. avrebbe dovuto portarla sullo schermo?

Che giri delle false road-movie (DUEL), dei falsi film di pesca (LO SQUALO), di fantascienza (INCONTRI RAVVICINATI) o di guerra (L'IMPERO DEL SOLE) Steven Spielberg compie sempre un viaggio a ritroso. Verso il mondo dell'infanzia. O, meglio: verso quello degli adulti che hanno saputo conservare le caratteristiche più eccitanti dell'infanzia. L'eroe spielberghiano è il Fanciullo, quello ancora capace di meravigliarsi e di entusiasmarsi: attraverso i suoi occhi l'adulto rifiuta il quotidiano, abbraccia il fantastico, rincorre i suoi fantasmi adolescenziali. Condite dagli immancabili riferimenti cinefili cari ai cineasti dagli anni settanta in poi, le sue avventure diventano allora quelle dell'America: del suo determinismo, del suo modo di crederci. Tradotte in dinamica pura (i vagoncini di INDIANA JONES, gli inseguimenti di SUGARLAND EXPRESSS) le inquadrature di Spielberg si caricano all'inverosimile (" il ne simplifie jamais, il complique " diceva di lui Truffaut): ma i suoi personaggi banali, piccolo borghesi come quelli dei suoi cineasti preferiti, Hitchcock e Ford, diventano quelli tipici della cultura americana. Quelli degli atti di fede nel Sogno e nelle Nuove Frontiere. Parlando di ragazzini ed extraterrestri, di avventurieri ed uomini qualunque, Spielberg ci parlava dell'America.

Era questo, il cinema di Spielberg: e sembra il ritratto bello e fatto di Peter Pan. HOOK si annunciava quindi come l'opera-somma di uno dei grandi cineasti americani dell'ultimo ventennio. Ma Spielberg non poteva illustrare Peter Pan secondo la tradizione: Walt Disney aveva già reso omaggio alla fiaba degli inglesi (in una delle sue migliori riuscite). Così come si era chinato inconfondibilmente sul Pinocchio degli italiani , o sulla Cenerentola dei francesi. Il Peter Pan di Spielberg dovrà essere allora un attore in carne ed ossa: che è diventato adulto, si è sposato, ha avuto dei bambini: un uomo d'affari con il telefonino. Ha dimenticato tutto del passato: fino al giorno in cui - in una Londra natalizia che è una delle poche cose del film che rimarranno in mente - Capitan Uncino viene a rapirgli i figlioli. Ed allora, con l'aiuto della celebre fatina che è la spaesata Julia Roberts di PRETTY WOMAN , deve ridiventare Peter Pan. Deve ritornare a volare, malgrado pancia e vertigini.

È il procedimento di un film che Spielberg aveva concorso a produrre, e che Robert Zemeckis aveva farcito di belle trovate, ROGER RABBITT: far entrare dei veri attori in un mondo parzialmente disegnato, animato. Uno come lui può anche non badare a spese: ma i conti incominciano a non tornare. C'è Robin Williams, che è una smorfia sola: forse per lo sforzo di farci credere di essere tornato smilzo. Dustin Hoffman che è il meno peggio nel ruolo del cattivo Uncino, ed il sempre attento Bob Hoskins. E ci sono i molti mezzi per la scenografia, gli effetti speciali di lusso. È un'altra delle caratteristiche del cinema di Spielberg, la sovrabbondanza degli elementi espressivi. È uno che aggiunge, sullo schermo; non uno che toglie dall'inquadratura.

Trainato dalla Julia Roberts fatina volante, il nostro yuppie di mezz'età atterra finalmente nell'Isola-che-non-c'è: ed il film, nel bel mezzo di un formicaio di figuranti desolatamente ignorati dalla cinepresa, s'impantana definitivamente. Qualcuno dice che sono in molti, fra i grandi dell'ultimo ventennio, ad essere in crisi. Come il Wenders di FINO ALLA FINE DEL MONDO e lo Scorsese di CAPE FEAR, anche Spielberg sembra più preoccupato di produrre, di ragionare, di spiegare, che di creare. Non c'è una sola invenzione, in tutto HOOKS, che ci liberi dallo sforzo di dover credere ad ogni costo: non uno sguardo (in un'arte, come il cinema, dove tutto nasce dalla qualità dello sguardo) che ci aiuti a volare con questo molle Peter Pan.

Su due misere idee della sceneggiatura (riuscirà, Capitan Uncino, a farsi amare dai figlioli di Peter Pan? Riuscirà, Peter Pan, a dimagrire e innalzarsi n volo) Spielberg si trascina stancamente. E sono proprio i ragazzini, quelli dell'isola sulla quale vivono ghettizzati, a tradire definitivamente l'autore dell'infanzia: piagnucolosi mostriciattoli, opportunisticamente trasformati in gialli e neri come in quei pullover che sapete dai colori uniti, così distanti dal piccolo-grande mondo dei marziani di E.T.

Privo di humour, privo di un attimo di distacco e riflessione, HOOK precipita e con lui la sua morale. In un finale lacrimoso e celebrativo: il tutto per scoprire che à la famiglia ad essere ancora il meglio.


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